Le sorelle Tibaldi e i loro vini Piemontesi a “Storie di Vini e Vigne”

Da qualche anno a questa parte, si sta osservando un fenomeno inedito per il nostro paese: il ritorno dei giovani all’agricoltura.
Le generazioni precedenti snobbavano le attività dei campi, degli orti e delle vigne, contaminate, come erano, dalla cultura industriale e dagli stili di vita metropolitani. La coltivazione della terra era faticosa e poco redditizia e il miraggio della vita cittadina, veicolato soprattutto dai nuovi media come la televisione, instillava l’idea generalizzata che il contadino fosse un individuo retrogrado, rozzo e ignorante. Niente di più falso. I contadini e le contadine erano i veri uomini e le vere donne del “fare”, anzi del “saper fare”, perché trascorrevano la loro esistenza a risolvere i problemi pratici del loro lavoro e a contrastare le avversità della natura. Il loro “saper fare” si manifestava a 360 gradi in tutte le occorrenze della vita quotidiana.
I giovani di oggi, però, si riaccostano all’agricoltura con nuove consapevolezze, padroneggiando non solo la pratica, ma anche la teoria, perché, nella maggior parte dei casi, si sono formati presso le scuole e le università agrarie, tecniche e aziendali. Per cui, vengono fuori nuove generazioni di agricoltori istruiti e dalla mentalità aperta, che, in ogni caso, non rinnegano i saperi dei padri e dei nonni; anzi li arricchiscono e li proiettano in alto.

Un caso esemplare di questa riappropriazione dell’agricoltura da parte dei giovani, è quello delle sorelle piemontesi Monica e Daniela Tibaldi, vignaiole Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti).
Vengono dalla zona del Roero, da un comune che si chiama Pocapaglia (una denominazione con la quale è facile scherzare: “poca paglia e molto vino!”), in provincia di Cuneo. Sono arrivate a Napoli, invitate dalla giornalista enogastronomica Marina Alaimo, per partecipare all’ incontro del 28 febbraio di “Storie di Vini e Vigne”, presso l’Enosteria “Cap’Alice” di Mario Lombardi, in Via Giovanni Bausan.
Sono graziose e cortesi, come si addice a due piemontesi doc, e la più grande, Monica, non supera i trent’anni.
Sono cresciute con il nonno Tunin e il padre Stefano, entrambi vignaioli.
Hanno studiato (Monica, enologia; Daniela, gestione aziendale) e, come raccontano nel loro bel video “Vineyards and high heels”, premiato da “Wine Spectator” e facilmente reperibile su YouTube, “a un certo punto della loro esistenza, hanno deciso di togliere la polvere dalla cantina di nonno e di papà”, rifondando l’azienda di famiglia che, in passato, rivendeva le sue uve e produceva vino per l’autoconsumo, mettendosi, perciò , in gioco nel difficile mercato enologico, con l’obiettivo di puntare le loro carte sulla coltivazione selettiva e sulla produzione di qualità.
Ma non per questo le due sorelle hanno sconfessato i saperi e gli insegnamenti dei loro vecchi; anzi, esse li hanno ben recepiti e fatti propri; ma poi li hanno rielaborati e aggiornati, coltivando le uve e producendo i vini con modalità al passo con i tempi e con le moderne tecnologie, e privilegiando la finezza, la freschezza e le caratteristiche fruttate dei loro nettari.
Le uve che coltivano sono quelle tipiche delle Langhe e del Roero (le due denominazioni, in pratica, si sovrappongono, come mi spiega Monica): il Nebbiolo, l’Arneis, la Barbera e la Favoriita.
La serata di degustazioni presso l’Enosteria “Cap’Alice”, egregiamente condotta da Marina Alaimo, che ha dato a questi incontri di “Storie di Vini e Vigne” l’impronta di veri “master” sui vini, ha passato in rassegna tutti i prodotti delle sorelle piemontesi: il Langhe D.o.c. Bianco a base di Favorita 100%, il Langhe D.o.c. Rosso a base di Nebbiolo 100%, il Roero Arneis D.o.c.g. “Bricco delle Passere”, il Roero D.o.c.g. e il Barbera d’Alba D.o.c.
Tutti i loro vini si sono rivelati equilibrati e ben fatti, e in ognuno di essi si è riconosciuta, inconfondibile, la nota femminile. Hanno attirato l’attenzione, soprattutto, il Langhe Favorita 2015, che si è segnalato per freschezza e aromi fruttati, nonostante il tempo trascorso dalla vendemmia e dalla vinificazione, e il Roero D.o.c.g. 2016, che si è distinto per maggiore complessità rispetto agli altri rossi assaggiati.

Nel corso della cena, proposta da Mario Lombardi e dal suo staff di “Cap’Alice”, i Nebbiolo delle sorelle Tibaldi sono stati abbinati a un’eccezionale Lasagna napoletana, che ha dato lo spunto per suggellare l’incontro tra Napoli e il Piemonte. In più, si è degustato un ottimo pecorino sardo con le pere, in onore dei pastori della Sardegna che si stanno battendo per la sopravvivenza loro e dei loro prodotti tipici caseari.

 

Pasquale Nusco