Viaggiando con Calvino per le sue Città invisibili: una rilettura sempre affascinante fra fantasia e realtà

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Italo Calvino)

Ritrovando per caso questo significativo brano de “Le città invisibili” mi è tornata all’improvviso la voglia di rileggere un romanzo che già alla sua prima lettura, ormai molti anni fa, mi aveva affascinata sia per la straordinaria fusione di reale e surreale che per lo stile e la struttura insoliti.

Fu pubblicato nel 1972, frutto di un periodo cosiddetto combinatorio, in cui Calvino si divertiva a sperimentare mescolando semiotica e strutturalismo, celando nell’opera e nel linguaggio molteplici combinazioni nascoste che il lettore stesso è poi chiamato a scoprire.

Marco Polo, dialogando con l’Imperatore dei Tartari, gli racconta i suoi viaggi straordinari attraverso le meravigliose città del vastissimo Impero, ma oltre a descriverle nella realtà racconta anche con gli occhi dell’immaginazione le sensazioni e le emozioni da lui provate nel visitarle, arricchendole di particolari e personaggi fantastici, quasi storie che come in sogno scaturiscono da altre storie. Ecco così che dalle città visibili prendono vita altrettante città apparentemente invisibili nella realtà, ma pronte a farsi scoprire e visitare con il potere della fantasia. E proprio tramite questa Calvino cerca di contrastare anche quel caos che spesso caratterizza il mondo reale disorientando l’uomo col suo vertiginoso vorticare di persone e situazioni: al disordine del caos non resta che ovviare con l’ordine e la tranquillità della fantasia a cui niente è impossibile. Le città fantastiche, oltre che luoghi da visitare, diventano anche nascondigli, rifugi di pace, da scegliere con attenzione e salvare e conservare con cura in mezzo a quell’inferno” citato nel brano iniziale.

La struttura stessa del libro è particolare, costituita da nove capitoli e cinquantacinque città i cui vari elementi s’intrecciano gli uni con gli altri, scomponendosi e ricombinandosi a loro volta in modo che il lettore si possa divertire a leggerlo secondo l’ordine che preferisce, come in un gioco.

L’autore stesso afferma che il romanzo non ha una sola fine perché “ fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli”.

I piani di lettura dunque sono molteplici, da quello più semplice e evidente del racconto e della favola a quello più complesso e denso di significati sociali e politici, rendendo l’opera ancora attuale e perciò sempre godibilissima.

 

Clara Cecchi