Pozzuoli: presentato “La Collina d’Oro”, nuovo romanzo di Marco Ciconte

Giovedì 30 maggio presso il Polo Culturale Palazzo Toledo di Pozzuoli si è presentato il romanzo LA COLLINA D’ORO dello scrittore calabrese Marco Ciconte, APOREMA EDIZIONI.

All’evento,moderato dal giornalista Gennaro Carnevale, oltre all’autore, hanno partecipato Maria Teresa Moccia di Fraia, Assessore alla Cultura del Comune di Pozzuoli, e lo scrittore Vincenzo Giarritiello. Letture di Angela Cicala.

Di seguito proponiamo in versione integrale l’intervento di Enzo Giarritiello.

Ci sono libri che vorresti non finissero mai. Quello che presentiamo questa sera, per quanto mi riguarda, rientra sicuramente tra questi.

La Collina D’Oro, di Marco Ciconte, è un affresco dell’Italia dall’inizio del ventennio fino alla crisi finanziaria del 2008. Ambientato a Chiteria, paese immaginario, ma verosimile, racconta le vicende della famiglia Belcastro, partendo da Ntoni e Rosa, la cui fuga d’amore dà inizio al romanzo, fino a Peppino, il loro ultimogenito, e Teresa sua moglie, per finire ai loro figli. Ma il vero protagonista del­la storia, è la terra da cui i contadini traggono il sostentamento con il sudore e il sangue.

La storia della famiglia Belcastro, seppure completamente opera di fantasia, è credibile in quanto, i tanti episodi narrati appartengono alla vita quotidiana non solo di chi vive la realtà contadina, ma di tutti noi: dalle problematiche familiari a quelle lavorative, da quelle economiche a quelle sentimentali, dal rapporto con i figli a quello con i nipoti.

Con una scrittura alta, che non ha mai una caduta di stile, nelle oltre 300 pagine che compongono il volume l’autore intesse una trama dall’architettura solida e ben strutturata, la quale nemmeno per un istante, malgrado l’excursus temporale del romanzo ricopra circa un secolo di storia, obbliga il lettore a fermarsi per ritornare indietro perché non gli è chiaro qualcosa o ha perso il filo del discorso. Come un fiume che scorre tranquillamente nell’alveo, il flusso narrativo prosegue placidamente senza sbalzi di tono né cadute di stile, a conferma della cura con cui il romanzo è stato scritto e rivisto.

Appartenente al genere romanzo storico, La Collina d’Oro ci riporta alla mente Verga, Pirandello, Il Gattopardo di Tomasi Lampedusa, ma soprattutto Fontamara di Silone: Romanzi in cui si parla delle lotte contadine nell’Italia pre e post unitaria e repubblicana; e degli eccidi con cui le autorità spesso ponevano fine alle ribellioni, trovando in quel modo il pretesto per liberarsi di personaggi scomodi o vendicarsi di qualche torto subito.

Entrando nello specifico della struttura del romanzo, prima di tutto ci tengo a ribadire lo stile alto con cui è scritto: dall’inizio alla fine la voce narrante ci accompagna con un garbato sussurro, pagina dopo pagina, descrivendoci i fatti come se fossimo raccolti davanti a un fuoco ad ascoltarla. In questo caso al calore della fiamma si contrappone l’enfasi della narrazione svelandoci la matassa della trama intessuta di un realismo di pregevole fattura. Una fitta e intensa matassa di parole che rapisce, oserei dire ipnotizza, obbligando il lettore a proseguire nella lettura per conoscere il seguito della storia.

Seppure stiamo parlando di un romanzo, dunque di un’opera in prosa, mentre leggiamo, percepiamo una sensazione di musicalità. È questo uno dei principali meriti che, da praticante della scrittura, riconosco a Ciconte: la sua è una scrittura musicale e lirica. È come se l’autore, scrivendo, avesse colto il pretesto per dare vita a uno spartito musicale, anziché a un libro, da suonarsi nella mente del letto­re. Questo aspetto si apprezza ancor di più leggendo ad alta voce!

La musicalità la riscontriamo non solo nel flusso narrativo, ma anche nei dialoghi, tra gli ostacoli più difficili per uno scrittore. Al pari della trama, le conversazioni tra i personaggi hanno il pregio di essere composte in modo diretto, altalenando le voci degli interlocutori senza frapposizioni indicative del tipo, “disse bevendo”, oppure “lavandosi le mani”, o “levando lo sguardo” e altro ancora.

Lo scambio di battute ricorda il ping pong e non confonde mai il lettore in quanto è preceduto a monte da un’accurata preparazione “scenica” da parte dell’autore per indirizzarla nella giusta direzione senza mai perdere la linearità della narrazione. In tal senso, quando lessi il libro, questo aspetto mi fece sorgere il sospetto che Ciconte scrivesse anche per il teatro, come poi egli stesso mi confermò.

Altro aspetto che merita d’essere elogiato è la rigorosità con cui sono descritti sia gli ambienti contadini e metropolitani, sia l’epoca storica in cui la vicenda si dipana. In questo caso la penna di Cicon­te si trasforma in pennello e le lettere in colori, disegnando scene e luoghi in maniera così dettagliata che, mentre leggiamo, abbiamo la sensazione di vedere davvero quegli ambienti e quei paesaggi proposti sulla carta come se fossero un quadro su tela.

Passando alla caratterizzazione dei personaggi, trattandosi di una saga familiare che richiama alla mente anche UN CAPPELLO PIENO DI CILIEGE della Fallaci, bisogna dar merito a Ciconte di aver descritto in maniera praticamente precisa ogni singolo protagonista, sia in chiave psicologica che fisica. Grazie a questa indiscutibile capacità icastica dell’autore, Ntoni, Rosa, Luigi, Salvatore, Maria, Peppi­no e tutti gli altri protagonisti diventano visibili e credibili tanto che non possiamo fare a meno di chiederci se ci troviamo al cospetto di personaggi di fantasia o realmente esistiti.

Seppure la storia tratta vicende legate alla questione meridionale dall’inizio del ventennio fino a oggi, cogliendone infinite sfaccettature, a partire dal caporalato, tuttora in essere in molte regioni del meridione, essa ci descrive con esattezza di date e luoghi quella che fu la storia del nostro tempo, spaziando dalla marcia su Roma alla guerra civile in Spagna, dal bando delle leggi razziali alla seconda guerra mondiale, dal referendum tra monarchia e repubblica alla riforma contadina, dall’immigrazione in Germania per motivi di lavoro di migliaia di meridionali a tangentopoli. Testimoniando come per molti uomini del sud gli eventi bellici e poi emigrare all’estero per trovare lavoro furono una sorta di estrema possibilità di fuga da una realtà triste che concedeva poche chance di riscatto sociale; o come la politica da sempre abbia strumentalizzato il voto con offerte cui i poveri disgraziati non potevano rifiutare, restando alla fine delusi perché spesso disattese.

È il caso del referendum tra monarchia e repubblica dove i sostenitori di quest’ultima, per convincere i contadini a votare per la repubblica, promisero in cambio la repentina realizzazione e attuazione della riforma agraria che invece ci fu solo molti anni dopo.

Un altro punto che mi piace segnalare del libro è l’ampio spazio che l’autore dà alle figure femminili: Rosa, Maria la Cordara, Teresa, Maria Concetta, per citare le principali, con i loro caratteri forti e decisi possono essere definite a pieno titolo antesignane del femminismo. Donne che sostengono le scelte dei mariti, anche se andassero contro gli interessi familiari, in quanto consapevoli che gli uomini vanno sostenuti per potersi sentire tali; oppure colte e impegnate nel sociale, Teresa, inducendo chi le vuole conquistare, Salvatore, a interessarsi di politica, fa niente che non ne capisce nulla, pur di stargli vicine.

Tutto quello che ho fin qui descritto non è altro che il denso scenario che circonda la vera protagonista, Molina: terra ostica che Peppino decide di coltivare comunque, malgrado sia da sempre abbandonata per via della sua durezza e sterilità, perché da ragazzo vi fu chi gli predisse che un giorno avrebbe trovato la collina d’oro, metafora con cui possiamo identificare la realizzazione i nostri sogni. Quei sogni per i quali saremmo pronti a dare in cambio perfino la nostra vita pur di vederli materializzarsi, a costo di rimetterci i soldi e la faccia. Così come fa Peppino, anche se poi la dura realtà gli imporrà di compiere scelte diverse che non sto qui a elencarvi per privarvi del piacere della lettura.

Concludo affermando che, dal mio punto di vista, il romanzo di Ciconte andrebbe suggerito come libro di testo nelle scuole perché nelle sue pagine riscopriamo la storia non solo di una famiglia, ma di una nazione intera. In particolare di un popolo, quello meridionale, dall’avvento del fascismo a oggi!

La collina d’ora è l’epopea di gente di disperata che cullava un sogno comune: riuscire un giorno a liberarsi dal fardello della povertà, risalendo uno alla volta i gradini della scala sociale, arrivando all’apice per riscattare se stessi e il passato delle proprie famiglie.

Per scoprire se tutto ciò si realizzerà, non resta che leggere il libro di Marco Ciconte.

Vi assicuro che non ve ne pentirete!