Intervista a Nicola Dragotto

Sabato 2 marzo alle ore 21 presso ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE (direttore artistico Vania Fereshetian), a Pozzuoli in via Provinciale Pianura 16, (di fronte la stazione di servizio BA.CO.GAS.), si terrà il concerto del cantautore Nicola Dragotto.

Per l’occasione gli abbiamo posto alcune domande sulla sua attività artistica.

Nicola sono trascorsi quasi due anni dalla pubblicazione del tuo primo disco L’ULTIMA CAUSA. In questo frangente cosa è cambiato in Nicola Dragotto artista?

Più che cambiato è maturato l’approccio verso la musica e un po’ verso il mondo che mi circonda. Penso di aver raggiunto una maggior maturazione e nello stesso tempo serenità nel rapportarmi con le problematiche esistenziali da cui trarre ispirazione e humus per le mie composizioni.

Dopo tanti anni in cui il tuo riferimento artistico è stato Giorgio Gaber – non a caso ti definivi cantattore – ti sei degaberizzato, come ti piace dire, dando spazio a te stesso: un’acquisizione di autostima o una scelta conseguente all’uscita del disco?

Gaber è stato un punto di partenza in quanto, riprendendo la mia strada artistica in età matura, avevo pensato bene di dedicarmi al teatro canzone per riannodare un filo conduttore col mio essere artista. Il degaberizzarmi è legato a un momento di presa di posizione nel volermi sentire cantautore nel senso classico della parola. Però devo dire che anche negli ultimi spettacoli che ho fatto sono riuscito a raggiungere quella che mi sembra la formula vincente: una via di mezzo tra cantautore e teatro canzone. Unisco, infatti, alle mie composizioni musicali anche dei monologhi tratti dai miei precedenti spettacoli e brevi incursioni di poesia con versi di Pasolini perché mai come oggi Pasolini si sta rivelando profetico, quindi mi è sembrato giusto onorare colui che è stato non solo un faro ma sicuramente uno dei maggiori esponenti della cultura italiana di tutti i tempi.

La tua parentesi con il Be Quiet ti ha maturato a livello artistico o dobbiamo considerarla semplicemente una parentesi professionale?

L’esperienza del BE Quiet è stata unica, irripetibile di per sé, perché ritrovarsi in un locale underground, una cantina, partire da là e nel giro di sette anni approdare a un palcoscenico come quello del teatro Bellini, ritengo sia una soddisfazione unica per chi ci ha creduto e per chi ha avuto la forza di andare fino in fondo. Però adesso, pur rimanendo il Be Quiet nel mio cuore, vivo un momento di ricerca artistica personale.

Pubblicamente, anche sui social, non ti fai scrupoli di attaccare in maniera diretta un certo mondo dello spettacolo come ad esempio, hai fatto,all’indomani della serata finale di Sanremo. Sulla tua pagina Facebook hai scritto, cito testuale: “Anche quest’anno è andata. Caro Sanremo, io sono fra quelli che davvero non ti hanno onorato. Lo so, sono un peccatore. Non sono venuto alla messa. Non mi sono confessato sui social, non ho invocato questo o quel vincitore e addirittura non ti giustifico come fenomeno di costume. Non trovo utile criticare i soggetti partecipanti, sia i nuovi che i vecchi colpiti dalla sindrome di Dorian Gray. Quello che sento di criticare è la perdita del coraggio. La bellezza, la forza e la profondità di un testo sono oggetto di ghettizzazione. I mecenati hanno lasciato il posto a miopi ed avidi imprenditori dell’usa e getta. Ci si è dimenticato dei poeti: la voce del popolo, l’incarnazione della identità, dell’appartenenza. Il problema non è emergere, quanto cercare di restare a galla senza diventare uno stronzo. Il vero problema è questo andare avanti tanto per andare mentre tutto si va spegnendo lentamente, un camminare senza senso e chi va controsenso in modo ostinato e contrario, trova la risposta a tutta questa follia imperante, nella sua sola solitudine…”

Io non attacco il sistema di per sé. Per chiarirci, artisticamente credo di essere stato sempre ironico ma moderatamente misurato ed oggetto, finora in positivo, della critica altrui. Quello che non sopporto è l’atteggiamento irriverente di taluni che vivono una subnormalità aculturale definendosi o peggio, venendo definiti da cannibali addetti ai lavori e da spettatori buoi, artisti o addirittura poeti. Per me la poesia è un momento sacro che si fa carne e sangue. Il poeta è un Atlante condannato a portare sulle spalle l’imbarazzante peso della memoria del suo popolo. Credo che oggi ci sia molto edonismo da parte di sedicenti poeti e l’aspetto più triste e preoccupante è che vengono definiti tali anche dalla pletora per lo più incolta di facebucchini, che confonde frasi lanciate troppo spesso ad capocchiam nel mare magnum di internet, con la poesia.

Tu sei consapevole che tenendo questo atteggiamento ti fai nemici nell’ambiente?…

Scusa, di che ambiente parliamo? Se ci riferiamo a quello artistico puro, credo che possano soltanto sposare le mie affermazioni perché non ne faccio una questione di superiorità ma di buongusto, di educazione e di rispetto verso coloro che devono ascoltarti e leggerti e comunque non ho mai pensato di condizionare il mio lavoro e il mio pensiero su ciò che può dire o pensare di me la gente.

Per ora L’ultima causa è stato il tuo unico disco, hai in programma di inciderne un altro?

Se trovassi una produzione volenterosa, disposta ad accogliere le mie divagazioni, ne sarei ben lieto. L’importante da parte mia è riuscire a coltivare sempre le parole giuste anche attraverso l’amore che mi viene contraccambiato per quello che cerco di donare dal mio cuore agli altri.

Nicola quanto incide la presenza della famiglia in questo tuo affrontare a viso aperto il mondo dello spettacolo?

La mia famiglia ha compreso le mie esigenze e mai come in questo momento, quando serve, mi è vicina sostenendomi. Diciamo che è passato il tempo in cui mi si chiedeva, mentre componevo, se i ceci dovessero essere cotti con l’aglio o con la cipolla. Ora la porta la si apre in silenzio e, se sto componendo, la si richiude, rimandando la domanda a data da destinarsi anche rischiando di restare digiuno!

Dallo spettacolo che il prossimo 2 marzo terrai a Pozzuoli, che Dragotto ci dobbiamo aspettare?

Il Dragotto di sempre: spontaneo, naturale, agrodolce. All’occorrenza sono critico, duro, ma anche molto irriverente verso me stesso. Quel che conta è divertirmi divertendo, invitando a riflettere e ridere di noi stessi, inventandomi il giusto registro per non annoiare chi ha deciso di investire su di me un paio di ore della propria vita.

Cosa vorresti che si dicesse di te, artisticamente parlando, quando non ci sarai più?

Ti rispondo alla Bukowski: uno stronzo di meno!

 

Vincenzo Giarritiello