Il Gragnano, il vino dei napoletani per antonomasia

“Vivere vis sanus, Gragnano pocula bibe” (per vivere sano, devi bere bicchieri di Gragnano).

Così diceva Mons. Antonio Molinari, Vescovo di Lettere, dalla cui diocesi dipendeva anche Gragnano, nel 17° secolo.

Ma bisogna ricordare anche le raccomandazioni di Pasquale il Fotografo (Enzo Turco) a Felice Sciosciammocca (Totò), nel film “Miseria e nobiltà”, allorché Pasquale dice a Felice: «Feli’, assicurati che sia Gragnano. Tu lo assaggi: se è frizzante, lo prendi, se no, desisti!».

Furono probabilmente i greci a portare le viti sui Monti Lattari, la catena montagnosa che giganteggia sulla Penisola Sorrentina e sulla quale sorge Gragnano.

Del vino di Gragnano ne parla anche Plinio il Vecchio nella sua “Historia Naturalis”; ma fu durante il medio evo che si consolidò e se ne diffuse la produzione e il consumo, grazie alla rilevante presenza di cenobi nella zona.

Però, bisognò aspettare il 1808 per consacrarlo come vino popolare in tutto il territorio napoletano, quando Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte e re di Napoli dal 1808 al 1815, fece venire gli agronomi dalla Francia che portarono viti e metodi di coltivazione e di vinificazione sui Monti Lattari. Fu da allora che il Gragnano divenne sinonimo di vino di Napoli, come scrisse il pittore Giacinto Gigante che lo definì: «il vino per antonomasia dei napoletani, del quale se ne possono bere bocce senza tornare a casa ubriaco».

Lo scrittore Mario Soldati, in tempi più vicini ai nostri, descrisse il Gragnano come «un vino piccolo, ma insuperabile».

Il Gragnano viene prodotto con uve Aglianico, Piedirosso e Sciascinoso, con la possibilità di aggiungere un mix di altre uve locali che ne esaltano la tipicità.

Le viti vengono coltivate su terreni terrazzati, ad un’altitudine massima di 500m. Proprio per questo, Giacinto Gigante aggiunse, alle sue considerazioni, che è “un vino di vitigno non artificiale”, volendo intendere che le piante che generano le uve del Gragnano non possono essere allevate con mezzi meccanici sviluppati, ma solo con la zappa e la fatica del contadino, in quanto nessuna macchina potrebbe raggiungere i terrazzamenti e muoversi su di essi.

Le viti del Gragnano sorgono quindi in montagna, ma respirano anche l’aria del mare, in quanto i Monti Lattari sono degradanti verso il Golfo di Napoli, per cui accolgono anche la ventilazione marina proveniente dalla baia partenopea. In più, affondano le loro radici in terreni che sono ricchi di ceneri e lapilli vulcanici, poiché il dirimpettaio Vesuvio, quando eruttava, faceva giungere i suoi materiali eruttivi fin sul versante dei Lattari che declina verso il mare di Napoli. Perciò, il Gragnano è un vino vulcanico, sia per la sua vivacità spumosa che per il terreno dal quale trae origine, che gli trasmette una spiccata mineralità.

Molto spesso, il Gragnano, per la sua frizzantezza, viene paragonato al Lambrusco. Ma, per carità!, la stoffa dei due vini è diversa: basti pensare che all’uvaggio del Gragnano concorre, in una misura che può arrivare fino al 60%, l’Aglianico che è la stessa uva che genera il Taurasi. Pur essendo un vino piacevole, allegro, spumeggiante e beverino, il Gragnano, insomma, non rinuncia ad avere personalità e un corpo sostanzioso.
Esso si beve giovane e ha un colore rosso rubino e una spuma vivace che, nel momento in cui viene stappato, lo rende molto simile a uno spumante. Anticamente, la presa di spuma veniva prodotta con l’aggiunta di un piccolo quantitativo di Lambiccato bianco che destava la rifermentazione. Al giorno d’oggi, la rifermentazione che regala vivacità e spuma al Gragnano, avviene in autoclave con l’addizione di lieviti selezionati.

Il Gragnano accompagna benissimo la pizza napoletana, per la quale è l’ideale. È irrinunciabile se si mangia il panuozzo, il quale è una specialità che deve la sua origine proprio all’inventiva dei fornai gragnanesi. Si sposa benissimo con la pasta al sugo (meglio ancora se è pasta di Gragnano al sugo di ragù napoletano). È impareggiabile se è bevuto su “sasicce e friarielli” e/o sulla “parmigiana di melanzane” fatta a regola d’arte.

Il vino Gragnano ha un cugino che si chiama Lettere, che è prodotto, con le stesse uve, nel territorio dell’omonimo comune distante da Gragnano solo tre o quattro chilometri. Il Lettere si presenta più asciutto e robusto del parente gragnanese. Entrambi sono sottodenominazioni della Doc “Penisola Sorrentina” che comprende le sottozone di Gragnano, Lettere e Sorrento.

 

Pasquale Nusco